Sensazioni
Chi viene privato di un senso è naturalmente portato ad affinare gli altri quattro. Quando scende la sera, veniamo sprovvisti della vista; non ci sono luci, lampioni, lampadine o neon a rischiarare la notte. È buio, negli occhi il nulla più nero, ma il mondo è comunque lì e non resta che percepirlo in altri modi.
Il giorno scompare rapidamente appena il sole è tramontato e porta con sé la calura più soffocante. La vita qui non è stressante ma estremamente faticosa, soprattutto nel fisico e nello stomaco. Con l’arrivo delle tenebre la realtà esterna giunge filtrata da un velo di oblio e il corpo viene pervaso da una languida sensazione di abbandono e distensione. La diminuzione dell’afa stimola subito l’appetito.
Cenando alla fioca luce di una lampada a olio, non resta che fiutare e assaporare il contenuto del piatto. Senza vedere in dettaglio tutto ciò che entra in bocca si apprezza di più. Certo la varietà degli ingredienti lascia un po’ a desiderare, ma le spezie esotiche danno un gusto originale al pasto. E poi, qui tutti mangiano principalmente per sfamarsi; le pietanze elaborate appartengono alla cultura dell’opulenza.
Nel frattempo la vita rallenta. Gli stimoli minori che di giorno sono soltanto un complemento alla vista ora diventano i protagonisti e la mente viene invasa da quei suoni a cui normalmente non si fa caso. L’orecchio riposato dall’inquinamento rumoroso del traffico viene solleticato dai timbri e dai ritmi della natura. Fumando l’ultima sigaretta, la brezza solleva un leggero fruscio tra le foglie del baobab che ci sovrasta.
Saliamo sul tetto piatto della capanna di fango su cui è posato un materasso riparato dalla zanzariera che ci proteggerà lasciando spazio all’arietta libera di circolare e di accarezzarci la pelle provata dal caldo diurno. In alto aumenta il raggio d’azione dell’udito. Nel cortile di fianco una capretta bela, poco più in là risponde il raglio dell’asino. Da una pozzanghera si diffonde un sottofondo di rane che gracchieranno per tutta la notte. L’ultimo suono prima di addormentarci come sassi è il ronzio delle zanzare bloccate dal sottile velo traforato.
Il risveglio è graduale, il sole si sta alzando, ma la luce è già forte; gli occhi non riescono ad aprirsi, verrebbero abbagliati. Il mondo riprende lentamente forma attraverso le orecchie. Un gallo canta già da un pezzo ma ogni volta si sente un po’ più forte. I versi dell’asino e delle capre ci aiutano a ricordare dove siamo. Rispetto a ieri sera ci sono suoni nuovi di cui lentamente si prende coscienza nel dormiveglia. Intorno alla capanna un gran vociare prodotto dal viavai di uomini e ragazzi/bambini in partenza per i campi e di donne e ragazze/bambine dirette al pozzo con le bacinelle in equilibrio sulla testa. Ciacolano allegramente nonostante l’ora e la lunga giornata che li attende. Un neonato piange, un cane abbaia.
Dal cortile arriva musica, percussioni ritmate che alternano suoni sordi con altri più acuti in quello che sembra un concerto di percussioni. Sono le custodi del focolare che già di primo mattino attaccano a macinare il miglio in cerchio al centro dello spiazzo. Battono i lunghi bastoni arrotondati alle estremità nella grossa ciotola di legno riempita di piccoli semi (tonfo) e, sollevando il grosso pestello, picchiano il bordo dell’ampio mortaio (colpo). Donne di tutte le età, con utensili di dimensioni diverse, pestando qualche manciata di farina ciascuna con il suo ritmo ben sincronizzato con le altre, ricavano una splendida melodia per far passare le fatiche della vita quotidiana.
Non ci resta che svegliarci del tutto. Se l’assenza di vista coniuga il riposo, ora la luce proietta negli occhi sforzi immani per una risicata esistenza.