giovedì 31 gennaio 2008

ALTRE DOMENICHE INIZIANO CON TUTT'ALTRO SPIRITO


La sveglia è spostata avanti e, nonostante ciò, qualcuno riesce ad arrivare con ritardi anche considerevoli. I puri e duri manifestano, più o meno apertamente, il proprio dissenso. Non si sa mai esattamente chi viene perché qualcuno si aggiunge all’ultimo momento e spesso bisogna procurare attrezzatura per chi non la possiede. “Porta la tua vecchia giacca per una mia amica; a chi posso chiedere in prestito un paio di scarponi, un imbrago, il casco, le racchette da neve?” Ma qualcosa, inevitabilmente, manca lo stesso.
Compattiamo le macchine per risparmiare sulla benzina e quelli seduti dietro si devono schiacciare tra gli zaini che non ci stanno nel bagagliaio. Già durante il viaggio inizia un fitto e allegro chiacchiericcio: cosa hai fatto in settimana, quella merda di Mastella ha fatto cadere il governo; pausa al bar per il caffè.
Scesi dalla macchina, prima di attaccare l’itinerario, inizia una frenetica attività che assomiglia a quella di un bazar magrebino. “Mi hai portato la giacca? Le ghette vanno allacciate all’interno o all’esterno? Come si calzano ‘ste racchette? Metti le mie cose nel tuo zaino altrimenti pesa troppo. Se vuoi metto te nello zaino, così facciamo prima”. Dopo le contrattazioni e la lunga preparazione si parte. Subito si coagulano dei gruppetti che salgono in ordine sparso per il pendio e che dibattono sui temi più disparati. Si parla di religione e laicità, di immigrazione, di ecologia ma anche di sport, shopping e gossip; certe discussioni diventano accese, altre restano più pacate. Il ritmo consente di conservare fiato per le parole; e si chiacchiera molto. Ben presto è già ora di una pausa perché qualcuno ha sete, fame o entrambe. “Qualcuno vuole del cioccolato amaro, venezuelano, equo e solidale? Io ho portato delle albicocche secche non trattate, senza coloranti, da agricoltura biologica. Il suo tè è molto più buono perché ha il limone”.
Per fortuna il sole è già alto e la temperatura mite, perché con l’attrezzatura raffazzonata di certe persone, anche solo una brezza potrebbe causare geloni. I puri e duri si lamentano del caldo soffocante: “L’altra volta, proprio qui, c’era -20”. Un mucchio di pietre al sole, dove la vista si apre, offre ad alcuni la scusa per fermarsi. “Ma come, la vetta è ormai vicina. Vacci te in cima, qui si sta così bene”. Gli altri proseguono con la solita calma; l’ultimo sforzo e siamo in punta, anche se è piuttosto arrotondata. Ci copriamo godendoci il panorama, ma preferiamo scendere dagli altri per mangiare, dove è più riparato.
Dagli zaini escono le cose più incredibili: i soliti prosciutti, tomini e salami più acciughe al verde, taralli e pizza. Ma il bello viene con i dolci quando uno tira fuori un panettone, un’altra la torta fatta il giorno prima. “Cacchio, abbiamo dimenticato il vino!” Non ci si riesce a liberare dei vizi, ma le buone abitudini si perdono subito. In discesa si procede come sempre a gruppi; quelli più avanti di tanto in tanto si fermano ad aspettare lanciandosi palle di neve, gli altri seguono. Infine, il rito del bar si ripete, ma questa volta è un modo per prolungare il piacere della giornata. Chi ha fretta si lascia convincere facilmente a ritardare la partenza.
Il momento dei saluti dura un sacco: incroci di baci e abbracci, poi tutti a casa.
Fotovideo di Cikus

mercoledì 30 gennaio 2008

CERTE DOMENICHE SI PARTE ALL'ALBA CARICHI E MOTIVATI


Nonostante il sonno e il buio, la mente è già concentrata sull’obiettivo. Siamo in pochi, agili e rapidi: i soliti noti. Puntuali all’appuntamento e focalizzati sulla meta. Poche parole essenziali su tutto il resto, il dialogo invece scorre tra vie da fare, gite fatte, tempi, condizioni della neve e della roccia, margini di sicurezza e gradi di difficoltà.
La salita viene attaccata in velocità perché la fretta tiene alta la tensione nervosa. Bisogna fare presto: la via è lunga… poi fa caldo… bisogna raggiungere la cima… altrimenti la fioca ven mola… Si sale in fila indiana, nel silenzio e nella penombra grigia dell’alba mattutina. Il ritmo è sostenuto; un velato senso di competizione ci spinge in prossimità del nostro limite fisico: sudiamo nonostante l’aria fredda. Cioccolato e frutta secca sono soltanto un modo per reintegrare le energie spese. Cerchiamo la difficoltà, il ripido e tutte quelle situazioni disagevoli che rendono più ruvido l’itinerario. A volte ci prendiamo anche bei strizzoni.

Poi la cima. Qualche sospiro di soddisfazione e di sollievo. E’ più la stanchezza della fame, si deglutisce e si chiacchiera col fiatone, poi è ora di scendere. Se c’è una bella neve inanelliamo una serie ubriacante di serpentine finché non ci manca il fiato e cedono le gambe. Altrimenti giù, più veloce possibile; tanto quel che c’era da fare è stato fatto. Il rituale prevede la birra finale. E’ una tappa obbligata, una rivendicazione: ci spetta perché ce la siamo guadagnata. Ora la lingua diventa più fluida. Ci raccontiamo la giornata con i passaggi difficili, i tratti salienti e i momenti di paura. Le bollicine e l’alcool della birra ampliano e colorano il resoconto.

Stravolti torniamo a casa.