In effetti la carne dell’orso con il film di Sean Penn c’entra eccome.
Scorrevano i titoli di coda e le emozioni sprigionate dalle immagini, miste al sonno causato dalla tarda ora, mi avevano lasciato inerte sulla poltrona del cinema con gli occhi ancora fissi sullo schermo. Le scritte passavano rapide, ma – ne sono sicuro – le parole “P. Levi” e “Bear meat” io le ho lette. È stato un passaggio fulmineo e inconscio, direttamente dalla retina alla memoria, senza passare per la consapevolezza razionale.
La carne dell’orso è un argomento topico nel racconto Ferro di Primo Levi contenuto ne La tavola periodica. Si tratta di quelle esperienze forti e “estreme” in cui ci cacciamo quando la forza e la baldanza della giovane età ci spingono più possibile verso i nostri limiti. Nello specifico, i due protagonisti della storia calcolano male i tempi di una scalata in montagna e si ritrovano a dover bivaccare sulle rive di un laghetto gelato.
«Arrivammo in cima alle cinque, io tirando l’ala da far pena, Sandro in preda ad un’ilarità sinistra, che io trovavo irritante.
- E per scendere?
- Per scendere vedremo, - rispose; ed aggiunse misteriosamente: - il peggio che ci possa capitare è di assaggiare la carne dell’orso -. Bene, la gustammo, la carne dell’orso, nel corso di quella notte, che trovammo lunga».
Il ferro è Sandro, compagno di Università di Primo: «…era legato al ferro da una parentela antica: i padri dei suoi padri, mi raccontò, erano stati calderai e fabbri… D’inverno, quando gli attaccava secco, legava gli sci alla bicicletta rugginosa, partiva di buon’ora, e pedalava fino alla neve, senza soldi, con un carciofo in tasca e l’altra piena d’insalata: tornava poi a sera, o anche il giorno dopo, dormendo nei fienili, e più tormenta e fame aveva patito, più era contento e meglio stava di salute».
Il fatto che nel film Into the wild sia citato questo racconto mi appariva assolutamente in linea con la storia di Christopher McCandless che, per il desiderio di avventura e libertà, era morto, solo, in uno scuolabus abbandonato nelle terre selvagge dell’Alaska, dopo due anni di vagabondaggio per l’America. Non restava che indagare su come la carne dell’orso sia arrivata ad Alexander Supertramp.
Nel libro di Jon Krakauer, da cui è tratto il film, che ricostruisce in maniera minuziosa l’intera storia, Primo Levi non è citato. La ricerca si fa più complicata, ma google corre in soccorso dei curiosi. Si scopre che Bear meat è proprio il titolo di un racconto pubblicato nel periodico culturale The Newyorker nel gennaio 2007 e uscito nella raccolta di testi di Levi A tranquil star, edita negli Stati Uniti nello stesso periodo.
Possiamo solo supporre (ma è bello pensare che sia così) che Sean Penn abbia letto il racconto mentre già lavorava al film, e ne sia rimasto così affascinato da volerne inserire una citazione. Solo la sensibilità di certi uomini può dare a una storia quell’inesauribile forza che la rende attuale in ogni tempo e in ogni luogo. Sono gli esili fili dell’immaginazione e i sottili legami della fantasia che portano da Primo Levi a Sean Penn, da Sandro a Christopher McCandless.
«Era questa, la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino».
Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi 1975
Jon Krakauer, Nelle terre estreme, Corbaccio 1998
P. Levi, Ferro, in Racconti di montagna a cura di Davide Longo, Einaudi 2007