lunedì 1 settembre 2008

DIARI DELL'ALTRO MONDO 1

L’inizio… la fine
Sono chiuso in questo siluro di metallo. Tra poco saremo sparati a 10.000 metri di altezza dove ci sono almeno 50 gradi sotto lo zero. L’aria che respiro mi dà disagio: così fredda, secca, asettica, condizionata. Sono turbato dall’assenza di odori e di umori. Fino a poche ore fa, a ogni respiro le narici si gonfiavano di sapori, gusti, polvere e sporcizia. Ma ormai ero abituato, la cosa non mi infastidiva per nulla: era il normale ordine delle cose.
Si è seduto accanto a me un tipo strano. È un bianco, sulla quarantina, grasso e con un’orribile camicia gialla fluorescente. La barba incolta, puzza da far schifo; spezie acidule… Ma che cacchio avrà mangiato? Fino a qualche istante fa riflettevo su come ormai fossi avvezzo ai diversi effluvi percepiti in tre settimane di Africa e ora sono profondamente disgustato, da un mio “fratello” bianco perdipiù. Nell’ultimo posto della fila siede una sventolona nera, elegantissima, vestita all’occidentale naturalmente. È arrivata con lui, staranno insieme. Che coraggio! Sarà amore oppure chissà quale forma di sudditanza? Di questo particolare tipo di incontro tra culture avrei volentieri fatto a meno. Ultima esperienza prima di tornare nel mio mondo.
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È una questione di atmosfera. Appena mi affaccio dalla porta dell’aereo, anche se è ormai notte inoltrata, la prima sensazione che mi si imprime nel sistema nervoso attraverso il viso e sulla pelle, dal naso fin nei polmoni è quel caldo umido che non mi abbandonerà più fino al ritorno. Sono nella culla dell’umanità e ben presto mi accorgerò del perché. Mi sembra di essere entrato solo ora nella biosfera. Il clima stimola la vita, ogni cosa pulsa delle più svariate e frenetiche attività biologiche, dei più naturali fervidi fermenti. L’acqua delle pozzanghere vibra incessantemente per i movimenti degli insetti, delle larve e delle rane. I muri sono colonizzati da grandi lucertole dalla testa gialla che inseguono mosche, moscerini e zanzare.
Negli anfratti delle città i topi raccolgono i rifiuti prodotti dalla grande concentrazione di esseri umani. La terra è percorsa da grosse formiche che si muovono in lunghe file ordinate, scarafaggi giganti si trascinano lasciando una scia nei granelli, le termiti costruiscono i loro alti castelli di sabbia. In pochi giorni tra le dita dei miei piedi si svilupperà una simpatica comunità di funghi che se la godono tra le mie cellule epiteliali macerate dal sudore prodotto nelle plastiche scarpe da ginnastica. Le mosche ti si posano incessantemente addosso soprattutto mentre mangi. Siamo nella stagione delle piogge, quattro mesi all’anno durante i quali la natura deve ricuperare l’inattività dei restanti otto durante i quali la siccità e il solleone stroncano ogni impulso vitale.
Ci sono 35 gradi e un’umidità pazzesca. Vita! Soprattutto per tutti quegli esseri che nella scala evolutiva occupano le posizioni di rincalzo: al di sotto degli umani, per intenderci. A questi ultimi invece non resta che sudare, senza che però la loro vitalità ne risenta minimamente. Ci si ammassa noncuranti in veicoli scassati, schiacciati gli uni contro gli altri e sommersi di bagagli e animali vivi, sacchi di riso e biciclette, sul tetto e sotto i sedili. Attraverso le fibre dei vestiti, l’umidità dei corpi si mescola: spalla contro spalla, coscia contro coscia. Per la verità questa condizione sviluppa un forte sentimento di socialità che fa dimenticare il malessere fisico ed esistenziale, si chiacchiera amabilmente e animatamente con i vicini e capita raramente di incrociare sguardi corrucciati, volti adombrati, espressioni arrabbiate. Si parte! Ma solo perché nel furgone tutti (e di più) i posti (venti!) sono occupati; se oggi non si fosse riempito, avremmo aspettato fino a domani.

1 commento:

Joffrey MONNIER ha detto...

Chouette message, touchant.C'était vraiment bien ce voyage !